Nuova sede degli Ordini e Collegi professionali
0610-RUF-IT-2008
Architect: Lapo Ruffi
Status: Competition (2008)
Visualizer: Studio
Scale: Large
Types: Headquarters, Institutional

“L’opera d’architettura trascende l’architetto, va oltre l’istante in cui si compie la sua costruzione e dunque può essere contemplata sotto le luci mutevoli della storia senza che la sua identità si perda con il trascorrere del tempo” – Rafael Moneo

Queste parole, tratte dalla raccolta di scritti “la solitudine degli edifici”, ci conducono all’analisi del tempo, del suo concetto in architettura, verso la vita degli edifici. Tutte le architetture, soprattutto quelle che vengono in qualche maniera storicizzate dal tempo (storicizzato vuol dire l’aver assorbito strato dopo strato il valore della storia, l’averlo fatto proprio, nel subirlo o nel costituirlo), sono investite da mutamenti che non si limitano solo alla patina del tempo, dove nell’arte costituisce la causa dell’invecchiamento di un quadro.

Sono nell’architettura, il susseguirsi dei cambiamenti che coinvolgono l’edificio, quelli sociali, della cultura, del gusto del luogo, che determinano variazioni planimetriche, distributive, fino ai destini più estremi:gli stati dell’abbandono. Emblematiche a questo riguardo sono tutte quelle architetture “sconsacrate”, architetture che sembrano essersi fermate in un luogo e in un tempo che non è più, come private del loro essere. L’architettura exindustriale, (di cui l’area di concorso è parte), è un altro ambito in cui la storia sembra creare spesso vaste rovine.

È lui, quindi, il tempo, che muove la ragione degli edifici. Vita e ragione, cultura e tempo, diventano le variabili difficilmente condizionabili, quelle che finiscono inevitabilmente per trascendere l’architetto. Ecco quindi che l’opera d’architettura trascende l’architetto. Lo studio dell’architettura ha poi contribuito, attraverso le definizioni del concetto di tipo (pensiamo a quelle fatte dal Milizia, quelle ridefinite da Aldo Rossi, Rafael Moneo, Carlos Martì Arìs), alla determinazione del legame fra forma e ragione. Ricordiamo questo per meglio comprendere come sia proprio il valore ed il variare della propria ragione, per un’architettura, a costituirne, spesso, la causa dei grandi mutamenti, le variazioni di forma, di funzione e quindi di tipo.

La palazzina Coppedè nel corso dei decenni ha visto il mutare della propria, originale, ragion d’essere, come costringendola verso la ricerca della nuova, propria ragione. Studiandone la storia, ci sembra che essa abbia abbracciato tutti gli ambiti del mutare, dalla funzionalità, quindi il susseguirsi di variazioni distributive degli spazi, la conseguente alterazione di parte dei dettagli architettonici, fino all’estremo destino che abbiamo citato, ovvero: il destino dell’abbandono. Da queste considerazioni ha inizio lo studio di progetto che porta l’architetto all’analisi dell’essere prima, alla definizione quindi di un possibile essere poi, per questa, dignitosa, architettura ex-industriale.

Intervenire per la ristrutturazione della “storica” Palazzina Coppedè, vuole dire intervenire su un esempio importante dell’architettura ex-industriale delle Officine Breda di Pistoia, area storicizzata della città, legata alla produzione, alla storia dell’architettura novecentesca del luogo. Lo stato attuale di parziale abbandono del manufatto ha comportato, in fase di progetto, l’intera demolizione della parte sud del complesso, salvaguardando, nella sua totalità, la facciata Coppedè e l’interezza delle due prime campate. Un’architettura industriale abbiamo detto, ed è proprio questa origine, il motore fisico del progetto.

L’edificio cambia funzione e quindi identità, certo, pur mantenendo i caratteri fisici del suo essere. Ecco che le nuove volumetrie seguendo il ritmo delle prime due campate iniziano una progressiva alterazione, più o meno lievi mutamenti dei profili, degli interassi prospettici e della copertura verso sud. Nel più amplio respiro della ristrutturazione urbanistico-architettonica dell’intera area “ex-Breda”, la palazzina Coppedè rappresenta l’importante testimonianza di un manufatto che per troppi anni è stato lasciato al degrado e che solo oggi, attraverso il presente concorso, sembra avvicinarsi verso la possibilità di un suo completo recupero.

Nella complessità della volumetria tutta, la facciata Coppedè rappresenta, nella gerarchia dei fronti, la testimonianza di una prestigiosa architettura. Il rapporto con la facciata, il mantenimento della gerarchia dei fronti, ha guidato l’intervento progettuale nella consapevolezza di trovarci di fronte ad un’architettura ex-industriale dalle volumetrie ben definite dal suo essere un tipo specifico. Possiamo parlare di gerarchia dei fronti nel momento in cui osserviamo come, nel rapporto con la ricercatezza formale del prospetto nord, gli altri fronti (est, ovest e sud) sembrano assumere la sembianza del non finito, attenti alla sola risposta funzionale privi di una ricerca compositiva. Il progetto si impone di mantenere questo carattere di rispetto formale della facciata nella volontà che questa rimanga di fatto il fronte nobile dell’opera architettonica.

Ecco che in prossimità di questa, le due campate nord dell’attuale edificio sono mantenute intatte, nelle loro aperture sui fronti est ed ovest e internamente, nel restauro delle capriate di ferro e degli shed. Queste ospiteranno su due livelli la sede degli ordini professionali. Partendo dalle prime due campate, si attua, all’interno del progetto un lento e progressivo mutare verso sud nello sviluppo dei volumi, attraverso l’introduzione di un’irregolarità ritmica negli interassi delle nuove tre campate oltre il passaggio coperto, che ospiteranno l’attività direzionale.

Questa irregolarità permette il mantenimento del carattere formale dell’edificio storico, la sua identità, legandosi ancora al suo essere architettura industriale, cercando al contempo una corretta risposta alla nuova funzionalità e flessibilità distributiva degli spazi interni richiesti. Abbiamo parlato di gerarchia nei prospetti, di come la facciata Coppedè debba mantenere a nostro giudizio il suo valore primo nella volumetria dell’intervento, ecco quindi la scelta dell’utilizzo di un sistema di rivestimento della facciata che sia in grado di dare unità formale all’edificio.

Si tratta di un rivestimento in lamiera stirata romboidale (memoria dell’antica attività all’interno delle officine San Giorgio) che avvolge l’edificio nei tre prospetti e lungo le falde di copertura. Questa maglia romboidale, fissata con apposite staffe alla lamiera che contorna l’edificio nelle parti piene, sia delle pareti murarie esterne che delle falde di copertura, costituisce il filtro per l’uniforme distribuzione della luce all’interno degli ambienti.

Una solida trasparenza, un mantello che possa permettere ai fronti est, ovest e sud il mantenimento di una silenziosa uniformità formale dell’intervento così da riproporre la facciata Coppedè come il primo violino di questa sinfonia architettonica. Una composizione in cui ogni parte sappia mostrarsi in un seguirsi di armoniche assonanze e dissonanze fra le parti, il tentativo in cui la nuova architettura riesca a definire il filtro limite, fra essa e la storia che le è a fianco, divenendo cosa compiuta: nuovi volumi e materiali che sappiano dare ad ogni spazio il proprio suono. Si sa che “in architettura la storia dei cambiamenti è la storia delle nostre azioni e delle nostre idee che sembrano talvolta trascendere e percorrere la presenza stessa di chi è chiamato a rappresentare e a farsi soggettivamente attore di quei cambiamenti e di quelle stesse idee.

Se così non fosse, la costruzione dell’edificio diventerebbe qualcosa di unanime, di pacificamente collettivo, di deterministicamente succube delle famigerate necessità storiche e, quindi, musicalmente inutile” (Luciano Berio, Un ricordo al futuro).

Nell’approccio al contrasto fra vecchio e nuovo il rivestimento dell’edificio diviene si, scelta di un “contrasto complementare, dove il nuovo è ovviamente originale ed in contrasto con l’esistente” (Steven Holl), ma osserviamo come nel nostro caso questi miri a divenire, nel suo svilupparsi di uniforme leggerezza sulla totalità delle superfici, neutra astrazione emotiva verso le architetture che lo fronteggiano in questa parte di città.

Team: Lapo Ruffi, Antonio Monaci, Giovanni Palchetti | Collaborator: Benedetta Agostini, Bernardo Pagnini, Massimiliano Paolini | Post date: 03/10/2012 | Views: 2.546